Come un cactus

 

Vi capita a volte di sentirvi simili…..a  un cactus?

A me capita. Mi capita quando mi rendo conto meglio di come a volte esprimo il contrario dell’amore: quando le mie parole esprimono un po’ di tensione, o sarcasmo, quando le mie parole esprimono apparente distanza, poca attenzione e poca empatia per gli altri; e  mi capita quando mi difendo per non far vedere miei difetti o paure o debolezze, o un mio dispiacere,  e assumo un aria apparentemente….spigolosa, respingente, e la assumo talmente “bene” che purtroppo a volte “sembro” quella difesa che esprimo esteriormente, sembro solo quello,  per chi non va oltre la mia apparenza di “cactus”. E a volte, se non ho un dialogo e una conoscenza profonda e sincera tra me e una persona, quella persona che non mi conosce più profondamente non sa e non immagina che quando sembro apparentemente un “cactus”, in realtà mi basta poco, davvero pochissimo per togliere le difese e per esprimere calore ed empatia.  Eppure, come tempo fa mi faceva notare  con tanta amicizia ed empatia una mia carissima amica, anche i cactus hanno in sé qualcosa di molto bello: infatti la pianta del cactus ha anche altre caratteristiche, per esempio  produce e fa fiorire fiori bellissimi.

Tutti in qualche modo  siamo convinti di essere sempre molto amabili, di essere sempre e solo sensibili più degli altri, attenti più degli altri, empatici più degli altri, e non accettiamo molto che tutti, ma proprio tutti, in alcuni momenti della nostra giornata e della nostra vita ci comportiamo da…cactus. Anzi, ci sembra di essere più dolci e amabili della media delle persone,  ci convinciamo facilmente che ciò che esprimiamo noi arrivi all’altro sempre come nostro dolore, paura, preoccupazione, attenzione, non come aggressione verbale o difesa o freddezza, o respingenza, e che è l’altro che interpreta male e non vede proprio la nostra innegabile sensibilità, bontà, dolcezza, il nostro innegabile affetto per lui/lei.

E invece no.

E invece dobbiamo tutti, (se vogliamo imparare ad amare davvero noi stessi e gli altri) fare ogni volta, ogni momento, uno scatto di umiltà: dobbiamo e possiamo guardare  e accettare che anche noi a volte trattiamo gli altri  in modi che arrivano come indifferenza, punizione, mancanza di rispetto, imposizione, giudizio, nonostante dentro di noi ci sembri che ciò che sentiamo come pensieri ed emozioni sia solo dolore o paura che gli altri capiranno e vedranno chiaramente.

E a volte, pensiamo esattamente come un cactus, ci mettiamo cioè a rimuginare in modo rancoroso, spigoloso, ci mettiamo a giudicare sia noi stessi sia gli altri, per ogni mancanza, per ogni sbaglio, per ogni loro disattenzione, per ogni diversità e atteggiamento diverso da ciò che vorremmo da noi stessi e dagli altri  nei nostri confronti. Solo con un allenamento all’umiltà possiamo accorgerci che ciò che pensiamo, “plasma” in qualche modo il nostro modo di guardare, parlare, di non parlare, di interagire, agire, scegliere. Anche se a noi spesso sembra di no, anche se a noi sembra di saper nascondere bene a noi stessi e agli altri tutto quel “misto”, quella zizzania che convive in noi, e a cui crediamo a volte come l’unica cosa giusta da pensare, fare, scegliere.

Scegliamo la forza dell’umiltà: umiltà non per autocondannarci, umiltà non per giudicare noi stessi, ma una umiltà vera, che accetta la verità di noi stessi, che accetta di non essere Dio e che accetta di essere  persone imperfette che a volte o spesso pensano e credono di avere solo ragione, che a volte pensano  male degli altri e di se stessi: scegliamo l’umiltà di “portare” nel nostro cammino con umiltà e  con amore anche quella parte di noi che sembra un cactus, e facciamola ogni volta  fiorire, rendiamola “feritoia”, che diventa occasione di amare anche attraverso le nostre ferite e paure, e che sceglie di non usare le proprie ferite e paure per colpevolizzare, pretendere, attaccare, ignorare.

Non dimentichiamo che il cactus ha anche caratteristiche in sé bellissime: è una pianta molto resistente, forte, sa crescere e fiorire anche in luoghi difficili e deserti, sa immagazzinare acqua che fa bene  per i periodi difficili, e sa far fiorire fiori bellissimi, delicati e colorati. Ecco, quando ci sentiamo e ci crediamo solo dei “cactus” e ci colpevolizziamo per i nostri errori e per difetti del nostro carattere, ricordiamoci anche di quanta bellezza, risorse, capacità di amare,  produrre e condividere  il bene e il bello abbiamo in noi, proprio come il cactus, e quanto amore in realtà abbiamo anche come forza interiore per affrontare ciò che è difficile con amore.

E quando ci sembra di vedere l’altro come un “cactus” respingente e poco piacevole, o irrecuperabile,  scegliamo sempre di metterci in un atteggiamento di empatia, scegliamo sempre di fare la “caccia al tesoro” e andare oltre ciò che vediamo, di andare oltre ciò che con i nostri criteri e sensibilità giudicheremmo come brutto, senza qualità, poco avvicinabile, e chi più ne ha più ne metta. Più accettiamo con amore la nostra parte “cactus” che ogni tanto fa capolino dentro e fuori di noi, più saremo disposti ad accettare con amore la parte “cactus” degli altri, accettare nel senso non di subire, ma di interagire con l’altro con dialogo, empatia, aiuto reciproco, e inoltre  solo con l’amore per gli altri li si può aiutare a  guardare e cambiare qualcosa, con rispetto, e amandoli anche se non cambiano. Come vorremmo fosse sempre fatto a noi…

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