Se io voglio convincere l’altro…

e se l’altro vuole convincere me

 

 

 

…Se io voglio convincere l’altro ad accettare o fare qualcosa che per me è importante, sono convinta che è “normale” e giusto che faccio di tutto per arrivare a farglielo capire e insistere, perché è “troppo” importante.

Se io voglio convincere l’altro a fare una scelta che è secondo me “l’unica” fattibile, giusta, importante, e se l’altro non è d’accordo e si chiude e rifiuta di parlarne, allora credo sia giusto e sacrosanto che io comunque metta davanti al fatto compiuto l’altro decidendo anche al posto suo, perché non si rende conto che “deve” darmi ragione.

Se io voglio convincere l’altro a fare il bene, a smettere di sbagliare, a cambiare idea, a volte ritengo giusto usare metodi più veloci e facili tipo forzare, imporre, sminuire e criticare se l’altro non accetta di cambiare, e preferisco a volte “punirlo”, convincendomi che è giusto perché io sono nel giusto e “solo” così l’altro si “piegherà” al bene e capirà quanto sbaglia e quanto si deve sbrigare a cambiare atteggiamento.

Se io voglio convincere l’altro a volermi bene, ad ascoltarmi, a capirmi, a collaborare, a parlarmi, e l’altro invece non mi dà retta, non vuole, mi chiudo nella convinzione che siccome “è universalmente giusto” che l’altro mi tratti bene, devo smettere di dargli ascolto, attenzione, aiuto, per fargli capire come ci si sente a non essere amati e capiti.

…se invece è l’altro che fa di tutto per insistere a farmi capire qualcosa e ad accettare di fare qualcosa, allora d’improvviso mi sento infastidita, mi dispiace che insiste e si vuole imporre, e rifiuto questo suo modo di fare, e d’improvviso capisco che se l’altro mi tratta così io non mi metto facilmente   in discussione.

Se è l’altro che, davanti a un mio volerci riflettere ancora su qualcosa, davanti a una mia preoccupazione, davanti al mio non essere d’accordo con una sua richiesta o proposta, davanti al mio evitare l’argomento che mi addolora, fa scelte anche al posto mio e che riguardano anche me, e mi  mette davanti al fatto compiuto, ecco che allora mi sento trattata ingiustamente, “tradita”, non capito, e sono tentata di sentirmi in diritto di perdere  un po’ di fiducia in lui/lei.

Se sono io a sbagliare, a non voler fare il bene, chiusa in mie paure o lentezze o rabbie, e se l’altro a quel punto per convincermi a fare il bene e a  cambiare mi sminuisce, mi critica, mi punisce con freddezza, con rabbia, con lo smettere di dialogare con me ed essere con me, dicendomi che così capirò cosa vuol dire, allora d’improvviso mi sento incompresa, trattata male, non rispettata nei miei tempi e nei miei limiti e dolori, e non ascolto l’altro, ma mi fermo, ferita, al male che mi fa per convincermi di un bene. E non capisco dove e perché dovrei cambiare in qualcosa.  E capisco che mi aiuterebbe di più che l’altro mi stesse vicino anche quando mi chiudo, e non smettesse di accogliermi, parlarmi, capirmi, aiutarmi.

Se è l’altro a volermi convincere e imporre di ascoltarlo, di parlargli, di dirgli qualcosa di me, se è l’altro che vuole convincermi per forza a volergli bene, a collaborare su qualcosa, a capirlo, allora d’improvviso inizio a capire che non si può imporre a un’altra persona di volerci bene, di capirci, di ascoltarci, ma possiamo solo, tutti, ognuno di noi, amare, amare l’altro, aiutarlo a capire perché per noi è importante essere capiti, voluti bene, ma senza imporre niente, scegliendo di amare comunque, incondizionatamente, gratuitamente, perché solo l’amare davvero può aiutare l’altro a conoscerci e volerci bene, solo l’amare davvero  può aiutare noi ad accettare con misericordia ed empatia (chiedendo aiuto a Colui, Dio, che ci ama immensamente e che ha sempre Misericordia ed empatia per ognuno di noi anche quando non amiamo) che l’altro ha diritto e libertà anche nel non voler parlare con noi, ascoltarci, collaborare….ma noi possiamo continuare ad ascoltarlo, capirlo, parlargli, accettarlo, collaborare e aiutarlo, come fa sempre Dio con noi…

 

 

 

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