Sorella   Imperfezione

 

Lui, San Francesco, la avrebbe chiamata sorella. Sorella imperfezione. E noi, che ne pensiamo dell’imperfezione, quella nostra e quella degli altri? in teoria, come discorso teorico, lo sappiamo bene che nessuno è perfetto, e che non ci dobbiamo sconvolgere se ci imbattiamo quotidianamente con le imperfezioni nostre e quelle di ogni persona.

Ma poi, quando ci accorgiamo che l’imperfezione è ben radicata in noi e negli altri, e nella nostra vita, e che spunta fuori pure in cose per noi importantissime, soprattutto se ne siamo molto addolorati, tendiamo ad arrabbiarci e a considerare tutto ciò che è imperfetto come ostacolo alla nostra felicità, ostacolo per amare ed essere amati, ostacolo per potersi capire e comprendere, ostacolo per dialogare insieme, ostacolo per aiutare,  ostacolo per i nostri obiettivi.

L’imperfezione può fare due cose in noi e fuori di noi: o “toglie”,  o “dona”: e dipende moltissimo da come la guardiamo e la consideriamo noi nella nostra vita e nel nostro cuore, e negli altri.

L’imperfezione può “togliere”: già, perché in teoria imperfezione è tutto ciò che secondo noi “toglie”: se ci pensiamo bene, quando per esempio vogliamo tanto qualcosa, quando vogliamo che succeda qualcosa, che realizziamo una determinata cosa, quando desideriamo che avvenga ciò che vogliamo e come vogliamo, convincendoci che è l’unico modo per cui così saremo felici e ci sentiremo amati e amabili, quando ci convinciamo che per sentirci amati e visti quella persona o quelle persone devono comportarsi con noi in un certo e unico modo comprensibile per noi, o che debbano darci ciò che vogliamo da loro, compresa la loro attenzione e il loro affetto, nella modalità “tutto, subito, completamente, interamente, e nel modo in cui mi posso sentire amato e capito, voluto”, ogni volta che ci attacchiamo a questa aspettativa, ecco che alla prima grossa e ripetuta imperfezione che viene a ricordarci che non è possibile, o è possibile solo un po’, o molto meno e in modo diverso da ciò che desideriamo tanto, noi sentiamo e ci concentriamo a volte solo nel dolore di ciò che la vita, l’altro, le situazioni, i problemi, gli imprevisti, ciò che è diverso da ciò che desideravamo, ci toglie e ci tolgono.

E spesso davanti a ciò che è imperfetto, non come volevamo esattamente, e in quantità che ci sembrava indispensabile, invece di accettare e vivere con amore le cose e le persone, le situazioni così come sono, ci chiudiamo, scegliamo di giudicare gli altri e noi stessi come cattivi e sbagliati, scegliamo a volte di non dare o non dare più  neanche ciò che potremmo, e che a noi sembra poco, o troppo diverso da ciò che vorremmo donare e ricevere noi,  e rischiamo così di non vedere e valorizzare ciò che di bello, buono, la vita, gli altri, le situazioni sono e ci donano, anche nelle imperfezioni.

Oppure, associamo la possibilità di essere amati e visti dagli altri alla nostra capacità di impegno, bravura, perfezione, sicurezza, per cui preferiamo donare agli altri, cercarli, amarli, parlargli, accoglierli, ascoltarli, essere insieme a loro, solo quando ci sentiamo (illudendoci), al massimo della nostra bravura, delle nostre capacità, della nostra sicurezza, e rifiutiamo di essere “raggiunti” nella nostra umana imperfezione, nei nostri momenti più faticosi, nei nostri stati d’animo diversi dalla super gioia, come se fosse una cattiveria o debolezza mostrarci come siamo, nel nostro “misto”, nella nostra imperfezione: arriviamo a convincerci a volte che l’Amore di Dio possa essere testimoniato da noi solo in ciò che facciamo bene, solo dal nostro essere buoni, ( e quindi siamo tentati di suddividere il mondo e le persone in buoni e cattivi, limitati e super fantastici, persone utili e interessanti e persone vuote, insignificanti) solo nella nostra intelligenza, nelle nostre riflessioni, solo nel nostro saper fare,  solo nelle nostre sicurezze e nelle nostre qualità da far vedere in modo chiaro e forte.

Arriviamo a credere a volte che potremo essere amati da Dio se siamo perfetti, se siamo solo o quasi solo buoni, senza troppi sbagli o desideri, senza troppi limiti o paure.

Ma così, senza accorgerci, crediamo più al nostro orgoglio, e non crediamo alla Potenza della Gioia e dell’Amore di Dio che invece ama anche manifestarsi e amare nella e attraverso la debolezza, l’imperfezione, i limiti, gli sbagli e in  tutto ciò che non ci rende bravi e  buoni ai nostri occhi e agli occhi degli altri.

Perché Lui non ama a seconda dei nostri meriti o bravure.

Ci ama , e immensamente, perché siamo noi, così come siamo, indipendentemente da nostri meriti o bravure o bontà.

Molte volte, ci arrabbiamo moltissimo, soffriamo moltissimo, reagiamo male, vogliamo ferire o ci scoraggiamo, quando qualcuno, qualcosa, o una situazione “interrompono” od ostacolano il nostro desiderio e il nostro progetto e sogno che ciò che desideriamo si realizzi, senza imprevisti e se possibile  esattamente come sentiamo necessario per la nostra felicità.

E se non avviene, a volte ci convinciamo che allora non vale la pena niente, che è tutto rovinato, che “ormai”…  Ma l’imperfezione può anche, (contemporaneamente  a un umano dispiacere per non avere perfezione e non essere perfetti) donare.

 Si, avete capito bene, l’imperfezione può donare: donare cosa? può donare tantissimo, se ci mettiamo nell’ottica della fede e dell’amare davvero: l’imperfezione  può per esempio essere occasione per aiutarci (se la accettiamo con umiltà e realismo, e con fede) a diventare più “morbidi”, ad ammorbidire cioè quella parte di noi che vorrebbe sempre salvare il mondo con le proprie soluzioni e forze, e con i suoi criteri ritenuti universali e fondamentali; possiamo accogliere e  riconoscere  l’imperfezione come occasione per ammorbidire quelle nostre rigidità, (che a volte rimproveriamo e cogliamo solo negli altri, e quasi mai in noi), in cui continuiamo a volte a credere che “o si fa come dico io, oppure tutto sarò brutto e problematico, oppure se l’altro non accetta ciò che voglio  o consiglio,  ciò che desidero dico e faccio allora sicuramente non gliene importa niente di me”, o che solo se possiamo realizzare tanto, tutto, subito, saremo felici, altrimenti ogni interruzione o imprevisto, ogni situazione e persona che porta cose diverse, è “segno”, secondo noi, che non possiamo e non vale la pena dare a lei e  agli altri meno di ciò che vorremmo dare a loro, in modalità che a loro arriva di più e che invece per la nostra sensibilità sembra solo assurdo, troppo poco, diverso da ciò che vorremmo donare  e ricevere.

Ognuno può provare a vedere quali sono le sue personali rigidità che può rendere accoglienza, semplicità, empatia, attenzione agli altri, misericordia, comprensione.

L’imperfezione può donare sia agli altri, perché è un dono grande per gli altri vederci più sinceri, più umani, più “raggiungibili” anche emotivamente,  vederci misti come loro, non apparentemente perfetti e distanti tipo freddi  marziani, sia a noi stessi: infatti se accettiamo l’imperfezione nella nostra vita, e negli altri, possiamo scavare e coltivare  in noi più libertà interiore, che ci porta a interagire con gli altri con più autostima, con più semplicità, simpatia, immediatezza, con più  capacità di gioia, di amore, e possiamo cogliere e gustare anche di più negli altri la loro luce, il loro valore profondo, che non dipende da quanto e quando sono solo bravi, o amabili, ma dipende dal fatto che sono amati da Dio cosi come sono, e sono speciali e unici cosi come sono.

Abbiamo, insieme a Dio,  un Santo  amico, un fratello in questo cammino per accogliere davvero l’imperfezione: San Francesco: San Francesco ha accettato l’umiltà di ciò che era e di ciò che sono gli altri, creature imperfette come lui; San Francesco ha accettato di far passare l’Amore e la Gioia, la Misericordia di Dio anche nei suoi limiti, nelle sue sofferenze e incapacità, anche in ciò che gli sembrava solo amaro e difficile.

E lo ha fatto rinunciando a contare solo su quanto era bravo o buono, o quanto era considerato dagli altri, o visto e amato da loro, ma ha accettato anche di sembrare “strano”, in ciò che sceglieva e nel suo amare con sincerità,  perché lui voleva amare, mettere amore in tutto, accettare l’Amore anche nel suo “misto” e nel “misto” degli altri.

Facciamo amicizia con l’imperfezione, quella in noi e quella negli altri, e in ogni situazione: chiamiamola come la chiamerebbe San Francesco, amiamola come la amerebbe lui, amiamola in noi e negli altri, non per disprezzare noi stessi, ma per permettere a Dio di farci scoprire quanto siamo in realtà belli, preziosi e amabili, e quanto lo sono anche gli altri, sempre, e quanto Lui  ci ama, anche nelle nostre imperfezioni, e quanto possiamo amare, anche in mezzo alle imperfezioni nostre e degli altri. Amiamo anche insieme a lei e attraverso di lei,  insieme a sorella imperfezione…e insieme a San Francesco.

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