Che  tessitore  sei?

 

 

Che tessitrice sono? Intanto lo chiedo a me stessa. O meglio, cosa intesso durante le mie giornate? Perché in realtà identificare sé stessi e gli altri in un solo ruolo o caratteristica non è mai la verità, perché ognuno di noi è composto da tanti, tantissimi aspetti, come tanti fili di vari colori che poi nella tessitura creano una armonia unica, originale, e bellissima. Premesso quindi che è importante che non ci identifichiamo in un ruolo o in una sola nostra caratteristica, che tessitori siamo? Che tessitore o tessitrice sei?

Che tessitrice sono? Una tessitrice di pace, che favorisce e incoraggia  l’empatia tra persone, o una tessitrice di “guerra”, giudizi e distanze e incomprensioni? Detto così sembra solo aria fritta, e poco concreto.

E soprattutto ci risulta a volte molto difficile avere consapevolezza della nostra personale parte in ogni situazione e rapporto con gli altri, anche perché ognuno di noi parte quasi sempre dalla convinzione profonda che sono gli altri, è l’altro che è cattivo, che ci giudica, che non vuole avere un dialogo e vicinanza con noi, e che il nostro atteggiamento non proprio pacifico e sereno nei suoi confronti dipende dall’altro e da come si comporta con noi.  Ma davvero davvero gli altri hanno tutto questo potere di “farci” arrabbiare? Di “farci” scegliere atteggiamenti di  distanza e di “guerra”? E se invece scoprissimo che abbiamo sempre la libertà interiore di scegliere come pensare, guardare, e cosa fare verso gli altri? e che quella libertà e quello che scegliamo e che riguarda noi dipende solo da noi?

E ritorno alla domanda iniziale, chiedendolo di nuovo prima di tutto a me stessa: che tessitrice sono? E’ importante fermarsi e domandarselo, perché in teoria tutti vogliamo la pace e costruire pace e amore, ma spesso quando siamo nella relazione con gli altri, quando le situazioni e le persone e i loro atteggiamenti non sono e non agiscono come vorremmo noi, ecco che a volte  il dolore o dispiacere che sentiamo li rendiamo un “arma”, convinti che sia la scorciatoia più facile e indolore per ritrovare la nostra serenità e forza: un’arma che secondo noi dovrebbe proteggerci da dispiaceri e farci sentire forti e  vincenti, e soprattutto buoni e nel giusto. Inattaccabili. Come se solo una persona potesse avere la verità tutta intera, la bontà tutta intera, la saggezza e l’amore tutto intero. E ovviamente ai nostri occhi quella persona siamo noi, e solo noi.

E ritorno alla mia domanda, ancora una volta facendola di nuovo a me stessa:

dunque, che tessitrice sono? Quando mi accorgo che altre persone parlano male di qualcuno, di qualcuno assente  in quel momento, cosa scelgo di tessere? Mi unisco al coro di giudizi, rafforzandoli con le mie critic…ehm opinioni, convinta che sia giusto parlare con sicurezza di cosa davvero ha nel cuore una persona e di come agire verso di lei per punirla, senza chiedere alla persona stessa? Oppure faccio ciò che vorrei sempre fosse fatto a me, e cioè sottolineo la preziosità dell’altro, e aiuto a sospendere il giudizio su quella persona, e incoraggio gli altri a parlare direttamente con la persona di cui stanno parlando, concedendole il beneficio del dubbio sulle sue intenzioni così tanto giudicate con certezza?

Che tessitrice sono? Cosa intesso e sottolineo se qualcuno vuole parlarmi, se per esempio vuole dirmi il suo dispiacere per qualcosa che ho detto o fatto, e cerca di dialogare con me? Ignoro la persona? Reagisco con rabbia furiosa e zittisco l’altro per evitare di mettermi in discussione e di cercare insieme di comprenderci, perché non sopporto forse di sentirmi o vedermi anche io capace di sbagliare, e perché mi riterrei “debole”? oppure intesso pace, accettando con umiltà e semplicità  che l’altro possa dirmi come si sente o si è sentito in una situazione e verso un mio atteggiamento, ascoltandolo con empatia e ricordando a me stessa che se l’altro mi dice dove secondo lui ho sbagliato, o cosa sarebbe importante che io cambi o modifichi, non significa che mi odia, o che non mi stima, o che non mi sopporta, o che  mi vuole per forza ferire offendere o sminuire, ma spesso vuole soprattutto costruire una comprensione e un rapporto più autentico e collaborativo dove ci si può aiutare reciprocamente?

Che tipo di “pace” intesso? Punto all’apparente “tranquillità” covando rancori dietro apparente gentilezza, perché, secondo me, l’unico modo di avere tranquillità e pace è evitare di parlare e ascoltare e ignorare l’altro, definendolo “fatto così”? O intesso, attraverso scelte diverse, azioni diverse, pensieri diversi vere scelte e atti di pace, cercando di ascoltare davvero con empatia e di andare verso l’altro, con il desiderio di comprenderlo e di aiutarlo a comprendermi, e con il tenace desiderio di cercare e trovare insieme soluzioni e scelte che aiutino entrambi a creare comprensione e vicinanza?

E che tessitrice sono e cosa intesso, quando desidero qualcosa, desidero un cambiamento di atteggiamento di una persona, e quando a volte le chiedo questa cosa con rimproveri, con rabbia, con pretesa perché sono certa di avere ragione solo io, e quando rivango il passato, gli errori passati, quando considero l’altro cattivo se non agisce come vorrei? Come arriva all’altro così ciò che vorrei dirgli, fargli capire, convinta a volte che l’altro deve solo ascoltare e capire le mie ragioni e io non ascolto con empatia come si sente, cosa pensa, cosa vorrebbe? E che tessitrice sono e cosa intesso se invece parlo all’altro di me con attenzione, valorizzando ciò che di buono e bello c’è nella relazione con l’altro, e tenendo sempre bene in mente che l’altro è un dono prezioso così come è?

E che  cosa intesso in realtà (fili, situazioni e occasioni di pace o guerra) quando, se conosco due o più persone che non si capiscono, che si giudicano e mettono distanze, che si ignorano, che non vogliono provare a comprendersi e dialogare, che non vogliono perdonarsi, fare pace,  alimento le loro difficoltà e giudizi con i miei atteggiamenti e scelte,  invece di favorire con il mio modo di scegliere, vivere, interagire, comunicare,  occasioni di comprensione, di empatia tra loro, cercando di aiutarle con amore e stima  a mettersi in discussione e comprendersi reciprocamente?

Che tessitrice sono quando decido al posto dell’altro come deve essere, cosa deve fare e non deve fare, scegliendo al posto suo, ed escludendolo perché tanto non capirebbe, si arrabbierebbe, perché  “meglio che decido solo io, anche ciò che riguarda anche l’altro, e  perché so cosa è bene anche per lui/lei”? Tesso così, ahimè,  apparenti pacifiche “scorciatoie” che in realtà sono piccoli grandi atti di “guerra” che  creano a lungo termine problemi e distanze reciproche molto più grandi.

E che tessitrice sono quando invece scelgo di parlare con l’altro di una scelta che riguarda anche lui/lei, e quando scelgo di stimarlo e di volergli talmente bene, bene davvero, da accettare anche che se non siamo d’accordo su qualcosa e che potrebbe rimanerci male, chiudersi, arrabbiarsi, dispiacersi, di rimanere con amore tenace  comunque nel dialogo, nella voglia di capire, di farmi capire, di ascoltare, costruire, e accettare che l’altro, anche se potrebbe reagire in modi diversi da ciò che vorrei, l’altro, come me, ha solo, di fondo  desiderio di essere sempre visto, accettato, apprezzato, amato e considerato.

Tessiamo, intessiamo davvero pace, e non guerra. Quella pace che fa sempre bene anche a noi, e dà gioia, come un boomerang , anche a noi.

 

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